Non c’è salute senza salute mentale

Il benessere di malati e caregivers si basa su un buon equilibrio psicologico. Appunto per questo, un buon servizio di supporto professionale è di estrema importanza.

La salute mentale è parte integrante della salute e del benessere, così come conferma la definizione di salute contenuta all’interno della Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità”.

Non a caso, la stessa OMS ha scelto il messaggio “Non c’è salute senza salute mentale” per celebrare l’edizione 2022 della Giornata internazionale della salute mentale, che ricorre ogni 10 ottobre.

Sempre l’OMS, inoltre, stima che una persona su quattro nel mondo sia colpita da problematiche legate alla salute mentale nel corso della propria vita e che, a livello globale, vi siano oltre 300 milioni di persone che soffrono di sindrome depressiva.

Un aspetto, quello della salute mentale, che viene spesso sottovalutato o del tutto dimenticato ma che riveste un’importanza del tutto fondamentale sia per la vita e il recupero del paziente che per quella dei caregivers, ossia di quelle persone che assistono e si prendono cura, in maniera continuativa, di un individuo non autosufficiente, perché malato, disabile o anziano.

Proprio quest’ultimi, gli anziani, sono sicuramente tra le categorie più a rischio di disagio mentale, causato non solo dalle problematiche di salute proprie dell’invecchiamento, dal deterioramento delle capacità cognitive e funzionali e dalle disabilità nella vita quotidiana, ma anche – e soprattutto – dalla conseguente esclusione sociale, dal carico di sofferenza fisica e psichica, e, non ultime, dalle separazioni legate alla scomparsa dei propri cari.

Dall’altro lato, i caregivers sono anch’essi sottoposti a uno stress intenso e prolungato, che va ad incidere in modo diretto sulla loro qualità di vita e sulla loro salute, sia fisica sia mentale. Molti sono costretti ad esempio a rinunciare ad avere una normale vita sociale, agli interessi del tempo libero e spesso devono assentarsi dal lavoro. Molte sono poi le problematiche che rischiano di aggravare il già precario stato emotivo, a iniziare dalla gravità del carico di responsabilità percepito, dall’imprevedibilità dei sintomi e dalla difficoltà di gestire eventuali comportamenti problematici e/o aggressivi del malato da accudire, fino ad arrivare alla consapevolezza della cronicità, che può dare la sensazione che non vi sia una reale e concreta via di uscita.

In alcuni casi si può addirittura configurare la cosiddetta “sindrome del burn-out”, ossia una condizione di estremo disagio e sofferenza, quasi sempre preludio di una patologia depressiva, in grado di ripercuotersi in modo del tutto negativo sia sulla propria salute, mentale e fisica, sia nell’accudimento e cura del soggetto malato.

La recente pandemia di COVID-19, inoltre, ha avuto un forte impatto sulla salute mentale delle persone, e alcuni particolari gruppi, tra cui proprio gli anziani, i malati cronici e gli stessi caregivers, sono stati particolarmente colpiti. E l’attuale crisi sociale ed economica ha poi amplificato ulteriormente la situazione.

Tutte motivazioni quest’ultime che, spesso, si scontrano poi con l’assenza di un supporto adeguato da parte dei normali servizi socio-sanitari, aggravata anche da un vero e proprio vuoto legislativo in merito al riconoscimento della figura del caregiver, o con una mancanza di conoscenze relative alla malattia e ai trattamenti disponibili. Senza contare, poi, il rallentamento, o addirittura l’interruzione, dei servizi sanitari dedicati ai disturbi mentali, causati dalla pandemia.

Appunto per questi motivi, un’adeguata assistenza psicologica riveste un’importanza del tutto fondamentale, e non solo a carico del malato allo scopo di affrontare al meglio la malattia e assicurare un recupero più completo e veloce, ma anche a carico degli stessi famigliari che si prendono cura di lui, allo scopo di conoscere e gestire al meglio la malattia del proprio caro e sopratutto riconoscere, ammettere ed elaborare i propri vissuti, sia quelli legati al parente malato sia quelli legati al proprio ruolo di “prestatore di cure”.

Meglio ancora, poi, se l’assistenza psicologica da parte di professionisti psicologi o psicoterapeuti venga somministrata presso il domicilio del paziente stesso, allo scopo di agevolare non solo il malato, che permane tra le “pareti amiche” della propria abitazione, ma anche per il famigliare che ha così la possibilità di restare vicino al proprio congiunto, magari condividendo con esso lo stesso percorso terapeutico.