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Anno nuovo: tempo di check-up

L’inizio di un nuovo anno è sempre occasione per mettere in pratica i buoni propositi e, soprattutto, il momento di “iniziare a volersi bene”

 

“Anno nuovo, vita nuova” recita un vecchio detto popolare. Niente di più vero, soprattutto se la “vita nuova” è riferita al proprio stato di salute. E non solo allo scopo di riprendere il corretto regime alimentare o il proprio peso forma persi durante le consuete festività di fine anno, ma soprattutto per dare finalmente il via a tutti quei buoni propositi che si erano fatti per l’inizio del nuovo anno. Primo tra tutti, quello di “iniziare a prendersi veramente cura di sé”, cominciando da un controllo generale del proprio stato psico-fisico. A maggior ragione se si ha un’età superiore ai 50 anni.

 

Molti sono i vantaggi di sottoporsi a un completo check-up medico: dall’individuazione di possibili fattori di rischio e di eventuali malanni in fase iniziale, fino alla prevenzione di determinate patologie, anche gravi, tipiche di una certa età, di un certo sesso o di una particolare categoria di persone.

Un controllo generale offre infatti migliori opportunità di contrastare sul nascere potenziali problemi, identificando eventuali “campanelli d’allarme” e monitorando i segnali che ci invia il nostro corpo, allontanando così il rischio di future complicazioni. Oltre all’opportunità di verificare la correttezza delle proprie abitudini, allo scopo di aiutare a introdurre anche piccoli, ma ugualmente importanti, cambiamenti nello stile di vita.

 

Non a caso, proprio negli ultimi anni, si sono sviluppate numerose campagne di sensibilizzazione e di screening a livello locale e nazionale, proprio per l’importanza che la prevenzione riveste, sia per l’individuo che per lo stesso sistema sanitario. Anche se un check-up di tipo personalizzato, che tenga debitamente conto della storia clinica, familiare e personale dell’individuo, presenta sicuramente una maggiore efficacia.

 

Un check-up completo è rappresentato da un programma di esami e test diagnostici, nonché la presa in carico multidisciplinare del paziente, allo scopo di fornire un quadro clinico il più completo possibile. Gli esami del sangue sono sicuramente uno dei primi step, in grado di fornire importanti informazioni relative allo stato di salute generale dell’individuo e della funzionalità di alcuni suoi specifici organi: indicatori come la glicemia, la colesterolemia e la trigliceridemia possono ad esempio segnalare un maggior rischio di ictus o infarto, così come la creatininemia e l’azotemia possono essere indici della corretta funzione renale e le transaminasi, per avere un quadro completo dello stato di salute del fegato. L’esame delle feci e delle urine, possono invece essere utili per verificare il corretto funzionamento dell’intestino, del pancreas o dei reni e monitorare così eventuali infezioni. A questi si affiancano poi ulteriori esami diagnostici, altrettanto importanti, come la misurazione della pressione arteriosa e l’elettrocardiogramma, fondamentali per monitorare la salute del cuore e dell’apparato cardiocircolatorio, così come il controllo della tiroide per scongiurare disfunzioni di carattere endocrino e metabolico e del fondo dell’occhio per controllare l’integrità delle strutture anatomiche deputate alla visione. 

Ulteriore step sono poi le valutazioni di tipo specialistico, come ad esempio il controllo della salute della prostata nell’uomo o la visita ginecologica e senologica nella donna. Valutazioni che, nel caso di valori o rilevazione sospette, possono poi essere seguite da accertamenti sempre più approfonditi.

 

Tutti controlli, quest’ultimi, che possono essere eseguiti comodamente presso il proprio domicilio, evitando spostamenti e lunghe attese negli appuntamenti, venendo soprattutto incontro alle esigenze non solo di anziani e disabili, ma anche degli stessi caregiver che si devono far carico di accompagnare i pazienti. I vantaggi sono infatti numerosi ed evidenti, dalla comodità di restare tra le mura “amiche” della propria abitazione, al risparmio di tempo, fino all’elevata personalizzazione del servizio.

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Non c’è salute senza salute mentale

Il benessere di malati e caregivers si basa su un buon equilibrio psicologico. Appunto per questo, un buon servizio di supporto professionale è di estrema importanza.

La salute mentale è parte integrante della salute e del benessere, così come conferma la definizione di salute contenuta all’interno della Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non semplice assenza di malattia o di infermità”.

Non a caso, la stessa OMS ha scelto il messaggio “Non c’è salute senza salute mentale” per celebrare l’edizione 2022 della Giornata internazionale della salute mentale, che ricorre ogni 10 ottobre.

Sempre l’OMS, inoltre, stima che una persona su quattro nel mondo sia colpita da problematiche legate alla salute mentale nel corso della propria vita e che, a livello globale, vi siano oltre 300 milioni di persone che soffrono di sindrome depressiva.

Un aspetto, quello della salute mentale, che viene spesso sottovalutato o del tutto dimenticato ma che riveste un’importanza del tutto fondamentale sia per la vita e il recupero del paziente che per quella dei caregivers, ossia di quelle persone che assistono e si prendono cura, in maniera continuativa, di un individuo non autosufficiente, perché malato, disabile o anziano.

Proprio quest’ultimi, gli anziani, sono sicuramente tra le categorie più a rischio di disagio mentale, causato non solo dalle problematiche di salute proprie dell’invecchiamento, dal deterioramento delle capacità cognitive e funzionali e dalle disabilità nella vita quotidiana, ma anche – e soprattutto – dalla conseguente esclusione sociale, dal carico di sofferenza fisica e psichica, e, non ultime, dalle separazioni legate alla scomparsa dei propri cari.

Dall’altro lato, i caregivers sono anch’essi sottoposti a uno stress intenso e prolungato, che va ad incidere in modo diretto sulla loro qualità di vita e sulla loro salute, sia fisica sia mentale. Molti sono costretti ad esempio a rinunciare ad avere una normale vita sociale, agli interessi del tempo libero e spesso devono assentarsi dal lavoro. Molte sono poi le problematiche che rischiano di aggravare il già precario stato emotivo, a iniziare dalla gravità del carico di responsabilità percepito, dall’imprevedibilità dei sintomi e dalla difficoltà di gestire eventuali comportamenti problematici e/o aggressivi del malato da accudire, fino ad arrivare alla consapevolezza della cronicità, che può dare la sensazione che non vi sia una reale e concreta via di uscita.

In alcuni casi si può addirittura configurare la cosiddetta “sindrome del burn-out”, ossia una condizione di estremo disagio e sofferenza, quasi sempre preludio di una patologia depressiva, in grado di ripercuotersi in modo del tutto negativo sia sulla propria salute, mentale e fisica, sia nell’accudimento e cura del soggetto malato.

La recente pandemia di COVID-19, inoltre, ha avuto un forte impatto sulla salute mentale delle persone, e alcuni particolari gruppi, tra cui proprio gli anziani, i malati cronici e gli stessi caregivers, sono stati particolarmente colpiti. E l’attuale crisi sociale ed economica ha poi amplificato ulteriormente la situazione.

Tutte motivazioni quest’ultime che, spesso, si scontrano poi con l’assenza di un supporto adeguato da parte dei normali servizi socio-sanitari, aggravata anche da un vero e proprio vuoto legislativo in merito al riconoscimento della figura del caregiver, o con una mancanza di conoscenze relative alla malattia e ai trattamenti disponibili. Senza contare, poi, il rallentamento, o addirittura l’interruzione, dei servizi sanitari dedicati ai disturbi mentali, causati dalla pandemia.

Appunto per questi motivi, un’adeguata assistenza psicologica riveste un’importanza del tutto fondamentale, e non solo a carico del malato allo scopo di affrontare al meglio la malattia e assicurare un recupero più completo e veloce, ma anche a carico degli stessi famigliari che si prendono cura di lui, allo scopo di conoscere e gestire al meglio la malattia del proprio caro e sopratutto riconoscere, ammettere ed elaborare i propri vissuti, sia quelli legati al parente malato sia quelli legati al proprio ruolo di “prestatore di cure”.

Meglio ancora, poi, se l’assistenza psicologica da parte di professionisti psicologi o psicoterapeuti venga somministrata presso il domicilio del paziente stesso, allo scopo di agevolare non solo il malato, che permane tra le “pareti amiche” della propria abitazione, ma anche per il famigliare che ha così la possibilità di restare vicino al proprio congiunto, magari condividendo con esso lo stesso percorso terapeutico.

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Un giorno per ridire no al diabete

Come ogni anno, il 14 novembre torna la Giornata Mondiale del Diabete, una ricorrenza che si ripete fin dal 1992.

 

È una delle condizioni patologiche più diffuse e in crescita al mondo, responsabile di ben 1,5 milioni di decessi e di oltre 422 milioni di nuovi malati ogni anno. Si tratta del diabete mellito, una condizione patologica che, solo nel nostro Paese, presenta una percentuale di persone affette di circa il 5,9% rispetto all’intera popolazione, pari a oltre 3,5 milioni di individui.

 

Appunto per questo motivo, nel 1992 la Federazione Internazionale del Diabete e l’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno lanciato la Giornata Mondiale del Diabete, che si tiene ogni anno il 14 novembre, giorno dell’anniversario della nascita del fisiologo canadese Frederick Banting, al quale viene attribuita la scoperta dell’insulina insieme a John Macleod, Charles Best e James Collip. Un’iniziativa, questa, che prende origine dalla risoluzione 61/225 adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 dicembre 2006, che riconosce il diabete come “una malattia cronica, invalidante e costosa che comporta gravi complicanze”.

 

La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità distingue due forme principali di diabete: il diabete mellito di tipo 1 e il diabete mellito di tipo 2, alle quali si aggiungono il diabete gestazionale e altre forme meno comuni.

 

In caso di diabete di tipo 1, la produzione di insulina viene soppressa o notevolmente ridotta a causa della distruzione delle cellule beta del pancreas ad opera del sistema immunitario. Nel diabete di tipo 2, invece, l’insulina non viene prodotta in quantità sufficiente, oppure non agisce in maniera efficace. La forma di diabete più diffusa è la 2 che interessa maggiormente la popolazione adulta e ha tra le cause principali il sovrappeso che, a sua volta, è in genere riferibile a un’alimentazione scorretta e al poco movimento. Il diabete di tipo 1 è invece una malattia autoimmune e di solito si manifesta nei primi 10-20 anni di vita. La prevalenza del diabete aumenta difatti al crescere dell’età fino a raggiungere una quota del 21% nelle persone con età uguale o superiore a 75 anni.

 

Nella grande maggioranza dei casi la malattia non dà alcun sintomo: se presenti, si tratta in genere di sete intensa, necessità di urinare spesso con urine abbondanti e stanchezza profusa. Nel diabete tipo 1 vi può essere anche perdita di peso e l’insorgenza della malattia può essere brusco con febbre, malessere, sonnolenza e odore di acetone nell’alito. Nel diabete tipo 2 spesso la diagnosi è del tutto casuale e viene fatta in una persona che sta sostanzialmente bene in occasione di esami di laboratorio.

 

Le altre manifestazioni cliniche del diabete, insorgono invece nel medio-lungo periodo sotto forma di complicazioni, direttamente correlate al grado di iperglicemia e di scompenso metabolico. Le principali sono in genere: neuropatie, pelle secca, visione offuscata, facilità nel sviluppare infezioni, rallentata guarigione delle ferite, prurito cutaneo, disturbi renali, ipertensione, incontinenza urinaria, disfagia, reflusso gastro-esofageo, stipsi, nausea, vomito, diarrea, irritabilità.

 

Per quanto riguarda invece i principali fattori di rischio, oltre alla familiarità e a una glicemia o tasso di emoglobina glicata non ottimale, si possono elencare l’ipertensione, il sovrappeso, l’iperalimentazione, la sedentarietà, il fumo di sigaretta, un basso tasso di colesterolo HDL, l’elevata quantità di trigliceridi, l’elevata uricemia, e l’età avanzata.

 

Un problema, quello del diabete, il cui impatto non è visibile solo dal punto di vista clinico, ma anche da quello sociale ed economico: basti pensare che la riduzione di aspettativa di vita nella persona con diabete non in controllo metabolico è di 7-8 anni, il 60% almeno della mortalità per malattie cardiovascolari è associata al diabete, il 38% delle persone con diabete ha insufficienza renale che può portare alla dialisi, il 22% delle persone con diabete ha retinopatia, il 3% delle persone con diabete ha problemi agli arti inferiori e piedi. Senza contare che il 32% dei soggetti risulta in età lavorativa con prevalenza del 10% fra le persone di 50-69 anni. Circa l’8% del budget in carico al Sistema Sanitario Nazionale viene difatti assorbito dal diabete, con oltre 9,25 miliardi di euro di soli costi diretti, a cui ne vanno aggiunti altri 11 di spese indirette.

 

Le armi più efficaci rimangono, come sempre, la prevenzione e la diagnosi precoce: si stima infatti che in Italia circa 4,5 milioni di persone sia in una condizione di pre-diabete e che 1,5 milioni siano addirittura ignari di essere affetti dalla malattia. In pratica, una persona diabetica su tre non sa di avere il diabete e quindi non si cura, rischiando così di sviluppare gravi complicanze e di scoprire la patologia soltanto quando sono già presenti danni di seria entità.

 

La condizione che precede il diabete di tipo 2, conosciuta anche come prediabete o meglio come intolleranza glucidica, è in genere caratterizzata sostanzialmente da una glicemia basale più alta del normale, ma non così tanto elevata da procedere con la diagnosi di diabete. Si tratta infatti di una situazione reversibile che può essere trattata soprattutto con il controllo della dieta e del peso, e che indica un rischio maggiore di sviluppare la malattia e di soffrire in aggiunta di patologie cardiovascolari. In genere in questo caso non si manifestano sintomi specifici, anche se – analogamente a quanto accade nel diabete vero e proprio – vi possono essere dei segnali d’allarme come aumento della sete, aumento della fame, senso di fatica, perdita di peso, minzione frequente, pelle scurita su collo, ascelle, gomiti, ginocchia, inguine e nocche, e vista sfocata.

 

Assai importante ai fini della prevenzione è quindi lo stile di vita che deve comprendere una dieta equilibrata, possibilmente povera di grassi e carboidrati e ricca di frutta e verdura, una costante attività fisica e un controllo almeno semestrale della glicemia, soprattutto nei soggetti a rischio.

 

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Torna l’autunno, tornano i mali di stagione

Con l’arrivo dei primi freddi, ecco comparire influenza e sindromi parainfluenzali

 

In autunno ricompare il clima freddo: per questo la stagione viene associata alla possibilità dei cosiddetti “malanni di stagione”: disturbi tipici di questo particolare periodo dell’anno che abbiamo ormai imparato a conoscere fin dal loro – talvolta subdolo – esordio.

 

Non a caso, sintomi come raffreddore, mal di gola, tosse, febbre e spossatezza, fanno quasi ormai parte della routine di questi primi mesi freddi, quasi a segnalare la reale fine dell’estate con le sue temperature calde e i suoi ritmi più rallentati.

 

In questo particolare periodo, i principali nemici della nostra salute sono rappresentati soprattutto dagli sbalzi di temperatura e dal riscaldamento artificiale: l’aria secca degli ambienti riscaldati, infatti, può causare l’inaridimento delle nostre mucose e asciugare lo strato di muco che riveste normalmente le nostre vie respiratorie, una delle armi più efficaci che abbiamo a disposizione per difenderci dai principali agenti patogeni. Il passaggio poi da ambienti riscaldati al freddo esterno può far diminuire ulteriormente l’efficienza delle mucose delle vie respiratorie, favorendo a sua volta la permanenza e il proliferare di virus e batteri. In questo particolare periodo storico non abbiamo ancora evidente rischio di surriscaldamento: la crisi energetica non sappiamo infatti cosa ci riserverà nei prossimi mesi autunnali e invernali.

 

Aumentando poi nella stagione fredda la permanenza in ambienti chiusi, spesso affollati, meno areati e più secchi a causa del riscaldamento, aumenta inoltre la probabilità di diffusione degli stessi agenti patogeni, sia per via diretta attraverso le goccioline emesso con il respiro, sia per via indiretta attraverso il contatto con le mani o superfici infette. La pandemia di COVID–19 ci ha insegnato quali comportamenti tenere in questi casi. Dal 1° ottobre 2022 l’ultimo DPCM ha reso obbligatori i DPI (le mascherine) solo in ambito sanitario e socio sanitario. Ma la prudenza li fa indossare ancora nei mezzi pubblici, per evitare la diffusione del virus da parte di untori inconsapevoli.

 

Le armi a nostra disposizione per combattere questi malanni sono molteplici e, oltre alle normali difese del nostro organismo e a un adeguato abbigliamento in grado di far fronte alle basse temperature, vi sono una serie di accorgimenti che possono davvero essere di grande aiuto, alcuni dei quali, come distanziamento, pulizia frequente delle mani e disinfezione delle superfici, ci hanno accompagnato per tutto il recente periodo pandemico.

 

Altri efficaci accorgimenti sono invece quelli di evitare per quanto è possibile stress e affaticamento, salvaguardando soprattutto il riposo notturno, curare l’alimentazione prediligendo il consumo di frutta, verdura, legumi e pesce, mantenere una giusta temperatura all’interno dei locali in cui si è abituati a soggiornare dotandosi, se necessario, di appositi umidificatori e cercando sempre di arieggiare gli ambienti assicurando un costante ricambio dell’aria. Sempre bene, poi, mantenere una regolare attività fisica, rappresentata anche solo da una passeggiata al giorno di almeno 30 minuti.

 

Nel caso di persone anziane, occorre anche fare molta attenzione all’idratazione, assicurando un regolare e sufficiente apporto di liquidi: oltre all’acqua, sono indicati tutti i tipi di bevande non alcoliche e a ridotto contenuto di caffeina e zuccheri, da assumere preferibilmente tiepidi o a temperatura ambiente. Così come la dieta equilibrata che deve garantire l’assunzione di importanti nutrienti, come le vitamine C, D e A, il calcio, il ferro e il magnesio, e un consumo non eccessivo di grassi e zuccheri.

Sempre nel caso delle persone anziane, inoltre, il vaccino antinfluenzale rappresenta un ottimo alleato per contrastare il nemico numero uno di questo periodo: l’influenza.

Di assoluta importanza, in questo caso, è anche consultare il medico fin dalla comparsa dei primi sintomi, soprattutto ai fini della corretta terapia da adottare.

 

L’influenza e i malanni a carico delle vie respiratorie, non sono i soli problemi che possono affliggere i nostri anziani: la difficoltà nell’autoregolazione della temperatura corporea, cui gli anziani sono soggetti, può difatti provocare complicanze per coloro che sono affetti da patologie cardiache e respiratorie, oppure per chi, a causa di malattie croniche, presenta un sistema immunitario già compromesso.

 

Lo stesso discorso vale anche per gli individui più giovani – soprattutto i bambini – in cui i classici sintomi di un’infezione alle vie respiratorie non sono sempre un segno del virus influenzale, ma possono essere segnali della presenza di altre forme virali, come la parainfluenza, oppure di una bronchite, una faringite o un semplice raffreddore.

 

In questi casi, l’infezione si manifesta con un decorso lento: si inizia infatti con il classico naso tappato e un leggero mal di gola, e in qualche giorno ci si ritrova con congestione nasale, mal di testa e talvolta febbre. Normalmente, i sintomi passano in poco tempo ma, come con il raffreddore, la sensazione di malessere e il naso che cola si possono trascinare anche per 15- 20 giorni. Nel caso dell’influenza, invece, i sintomi si manifestano tipicamente in modo repentino e aggressivo, con l’insorgenza in poco tempo di febbre, brividi e profondo senso di spossatezza.

 

Questa semplice analisi di quanto può avvenire con l’inizio dell’autunno vuole essere uno strumento accessibile a chi legge, per comprendere meglio i comportamenti da seguire, come pure quelli da evitare.

 

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Assistenza domiciliare: l’importanza del coordinamento sanità e territorio

Le cure tra le mura domestiche sono una risorsa preziosa per il paziente, i famigliari e il Sistema Sanitario


Il mantenimento di un buon livello di salute pubblica è uno dei temi più importanti e discussi degli ultimi decenni che, complici il progressivo invecchiamento della popolazione e la recente pandemia di Covid-19, occupa ormai una voce di fondamentale importanza nelle scelte e nelle decisioni dei principali governi di tutto il mondo. In special modo nel nostro Paese, dove la percentuale di ultraottantenni è quasi raddoppiata negli ultimi vent’anni e l’assistenza domiciliare è ormai divenuta una necessità assolutamente fondamentale e imprescindibile per assicurare un valido sostegno ai malati e alle persone fragili, disabili o semplicemente in convalescenza.

 

Basti solo pensare che i dati Istat emersi dall’Indagine di salute europea EHIS 2019 hanno delineato una fotografia preoccupante della domanda di assistenza che, proprio nella classe di età 75 e più, assume una rilevanza preponderante a causa della compromissione di capacità funzionali, della mancanza di supporto sociale, del bisogno di sostegno, delle sfavorevoli condizioni abitative e delle difficili condizioni economiche. Su una popolazione di riferimento composta da circa 6,9 milioni di over 75, sono stati infatti identificati oltre 2,7 milioni di individui che presentano gravi difficoltà motorie, presenza di più patologie, compromissioni dell’autonomia nelle attività quotidiane di cura della persona e nelle attività della vita quotidiana. Tra questi, 1,2 milioni di anziani hanno dichiarato di non poter contare su un aiuto adeguato alle proprie necessità, di cui circa 1 milione vive solo oppure con altri familiari tutti over 65 senza supporto o con un livello di aiuto insufficiente.

 

E non finisce qui. Anche gli anni futuri non riservano di certo uno scenario migliore. Il picco di invecchiamento colpirà infatti l’Italia nel 2045-50, quando si riscontrerà una quota di ultrasessantacinquenni vicina al 34%. Si prevede, difatti, che anche la sopravvivenza aumenterà ulteriormente e, di conseguenza, entro il 2065 la vita media si aggirerà attorno agli 86,1 anni per gli uomini e ai 90,2 per le donne.

 

L’assistenza domiciliare rappresenta per cui una vera e propria “ancora di salvezza” non solo per famigliari e caregiver, ma anche e soprattutto per l’intera comunità e per lo stesso Sistema Sanitario Nazionale, considerati i benefici che può dare a livello di riduzione dei giorni di degenza ospedaliera, e quindi, di fatto, di risparmio economico. Vantaggi che, a livello degli stessi pazienti, assumono ancora più valore e significato, grazie a una più veloce e completa guarigione. Senza contare la notevole riduzione del disagio psicologico dato da un anticipato ritorno tra le mura del proprio domicilio. Non a caso, proprio l’ADI o Assistenza Domiciliare Integrata è stata riconosciuta come uno dei “Livelli Essenziali di Assistenza” dal Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 29 novembre 2001.

 

Appunto per questo motivo, è di fondamentale importanza il coordinamento e la stretta collaborazione tra i presidi sanitari, i medici di medicina generale e le strutture locali da un lato, e le numerose organizzazioni assistenziali presenti sull’intero territorio nazionale dall’altro. Lo scopo finale che è quello di rendere le cure a casa la diretta continuazione di quelle precedentemente avute nel reparto ospedaliero, è difatti possibile grazie a precise indicazioni e accorgimenti dei presidi medici che hanno in carico il paziente e che sono tenuti a seguire l’evolversi della degenza o convalescenza del malato anche se si svolge al proprio domicilio.


A questo proposito, una delle migliori best practice in questo senso è quella relativa al “Progetto Milano”, attivo su tutto il territorio del capoluogo lombardo dallo scorso 1 ottobre 2019, che definisce le modalità operative per le dimissioni “protette” in ADI di pazienti ricoverati nei reparti ospedalieri delle ASST/IRCCS di riferimento. Secondo questo nuovo protocollo, è difatti proprio il reparto ospedaliero a prendersi farsi inizialmente carico di tutte le pratiche per l’attivazione dell’assistenza domiciliare, nonché ad avviare le migliori cure del paziente al proprio domicilio, fornendo tutte le indicazioni e presidi medici del caso e, non ultimo, a informare in modo  adeguato parenti e caregiver.

 

Grazie alle strutture assistenziali operanti sul territorio, in grado di assicurare anche a casa del paziente le stesse prestazioni che verrebbero erogate in ospedale, i pazienti e i suoi famigliari possono così avere a disposizione un team di professionisti, con competenze multispecialistiche, in grado di prendersi in carico la persona, in base alle sue specifiche esigenze e necessità e alla sua storia clinica, con la possibilità di poter completare senza alcuna interruzione il suo programma terapeutico, sia che riguardi situazioni di riconosciuta cronicità o la guarigione da patologie acute. Il tutto, ovviamente sempre sotto il controllo del reparto ospedaliero, a cui poter ricorrere in caso di qualsiasi necessità, o di eventuali complicazioni a livello clinico.

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La disidratazione: “nemico numero uno” nell’estate dei nostri anziani

La dose giornaliera di liquidi da assumere deve essere almeno di 1,5 litri. Attenzione ai primi segni e sintomi

Il caldo elevato delle ultime estati è una delle più temibili minacce alla salute dei nostri anziani. In special modo per tutti coloro che sono costretti a rimanere nelle grandi città, dove afa e umidità possono aggravarne di molto la percezione a livello corporeo.

 

Gli effetti delle alte temperature sull’organismo possono essere molteplici, anche se il “nemico numero uno” da sconfiggere è sicuramente la disidratazione, ossia l’insufficienza di liquidi che si può instaurare quando si perde più acqua di quella che viene introdotta.

 

Proprio gli anziani, più delle persone di più giovane età, sono maggiormente esposti a questo rischio, poiché, oltre a una minore sensazione di sete e quindi a una minore propensione a bere, spesso sono soggetti a maggiori perdite di liquidi, a causa di una scarsa cura nel prendersi cura di sé che spesso porta a indossare capi e indumenti pesanti anche durante la stagione estiva, di terapie diuretiche per la cura di malattie croniche e di un maggiore rischio di incorrere in stati febbrili e sindromi intestinali. Senza dimenticare i soggetti affetti da disturbi neurodegenerativi, come demenza o Alzheimer, che hanno un rischio aumentato di non bere a sufficienza.

 

I primi segni di disidratazione nell’anziano possono essere facilmente riconoscibili e sono riconducibili a secchezza delle mucose di bocca e occhi, spesso con una colorazione biancastra della lingua, pelle secca e pallida, aumento della temperatura corporea, confusione e perdita della memoria, debolezza muscolare, perdita di appetito e un’insolita sonnolenza. A questi si possono poi aggiungere anche crampi muscolari, con una tipica sensazione di malessere generale e dolore diffuso, stipsi e difficoltà intestinali, colore scuro delle urine, nausea e a volte anche vomito e, paradossalmente, mancanza di sudorazione.

 

Ovviamente, la raccomandazione è quella di prestare sempre la massima attenzione e non sottovalutare nessuno dei sintomi e segni appena citati e, nel caso di dubbi, consultarsi tempestivamente con il proprio medico. Le conseguenze a lungo termine della disidratazione possono essere infatti anche gravi, come tromboembolie e aritmia cardiaca, infezione urinarie e insufficienza renale, fino addirittura al decesso.

 

Per questi motivi, è sempre bene accertarsi che i nostri anziani assumano almeno 1,5 – 2 litri di liquidi al giorno, assumendo quantità prestabilite a intervalli di tempo regolari durante tutto il corso della giornata, e adottare un’alimentazione ricca di frutta e verdura. Per incoraggiare l’anziano a bere, inoltre, è sempre meglio optare per acqua fresca e gradevole al palato aggiungendo, nel caso, fette di frutta fresca o congelata per aggiungere sapore. In alternativa, è anche possibile somministrare liquidi sotto forma di latte, the, tisane, succhi di frutta, brodo vegetale e altre forme, sempre tenendo conto di eventuali patologie presenti e l’assunzione di particolari tipi di farmaci.

 

Per quanto riguarda invece la tipologia di bevanda, gli specialisti consigliano in linea generale un’acqua ricca di calcio e fosfato di magnesio, e comunque selezionata in base alle personali necessità ed esigenze e, anche in questo caso, in base alla presenza di eventuali patologie e terapie in corso.

 

Nel caso di anziani non autosufficienti, infine, il Ministero della Salute ha messo a disposizione delle apposite linee guida per prevenire la disidratazione e i colpi di calore durante l’estate, composte da piccoli ma importanti accorgimenti, come ad esempio quello di adottare una scheda di monitoraggio che tenga traccia di tutti i liquidi assunti durante la giornata, di rinfrescare il viso e le altre parti scoperte del corpo con un nebulizzatore, o di eseguire spugnature di acqua fresca, in particolare a livello della nuca, o di applicare sul viso salviettine umide e fresche.



Per la cura dei tuoi cari puoi contare su allUneed, che offre servizi di assistenza alla persona a domicilio.